Purismo e traduzione: le ragioni della sopravvivenza del mestiere
Si sentono ancora spesso discorsi improntati al purismo, su come si “devono” dire alcune cose, su qual è il modo “giusto” di parlare, sulle critiche al modo di usare l’italiano negli SMS, ecc., come se l’italiano fosse qualcosa di estraneo agli utenti, come se gli utenti dovessero chiedere il permesso per utilizzare l’italiano.
Ma qual è la posizione della traduzione nei confronti del purismo o del normativismo?
C’è una posizione pragmatica innanzitutto, che è piuttosto ovvia: noi siamo chiamati a mimare, a replicare contesti comunicativi e pertanto dobbiamo immergerci in tali ambiti linguistici estraniandoci da ogni quadro di riferimento “eteronomo”, ossia dettato da norme esterne, bensì cercando di applicare nella misura del possibile le regole della situazione linguistica che andiamo a riprodurre. In sostanza, dovendo tradurre un testo di marketing per un bene di largo consumo diretto a un consumatore di media estrazione socioculturale, non esiteremmo a manifestarne i tic linguistici, le mode lessicali, ecc.: “ti piace messaggiare?”, “cliccare” , “loggare”, ecc. Analogamente, non dovrà suscitare scandalo un “efficientare” in un quadro di organizzazione aziendale.
Ma c’è anche una posizione teorica soggiacente, che è quella per cui la lingua non è un corpo fisso e invariabile di regole morfosintattiche e unità lessicali, bensì uno strumento del quale le persone sociali si servono per comunicare, per esprimere l’esperienza, per conoscere l’ignoto, per definirsi e differenziarsi rispetto ad altri gruppi, per motivi di praticità o di volontà di supremazia o di esigenze di segretezza, ecc. Quali che siano i motivi, la lingua è per sua stessa natura variabile, elastica, flessibile nella duplice dimensione storica (diacronica) e della stratificazione socioculturale (sincronica), per cui il traduttore non compie nessuna violazione “deviando” da regole o da usi raccomandati, se lo fa nel rispetto dei registri linguistici in cui si muove.
È anche facile rispondere alla pronta obiezione del purista: ma allora è l’anarchia, allora non si comunica più, ognuno si inventa la propria lingua e non c’è passaggio di consegne tra le generazioni diverse di locutori.
Ha parzialmente ragione il purista, sennonché la libertà di cui sopra non è per tutti, non tutti hanno il diritto di muoversi con eccessiva libertà. Ci sono i luoghi deputati alla conservazione e quelli deputati all’innovazione, essendo la lingua, come la società, una realtà soggetta costantemente all’azione di queste due forze. La conservazione dei linguaggi ufficiali, delle leggi che tutti devono poter capire oggi e domani, dell’insegnamento scolastico e dell’informazione giornalistica che si vuole “istituzionale”. L’innovazione delle lingue specialistiche professionali, dell’arte, della comunicazione giovanile, della pubblicità, della tecnologia, del comunicare spontaneo e informale.
Se andiamo a ben vedere, e ci spostiamo a questo punto nel profilo sociologico della professione del traduttore, mal si posiziona l’ambizione della traduzione automatica a fronte dell’immensa variabilità, della flessibilità, della mutevolezza della lingua, né sembrano sconvolgere i termini della questione gli sviluppi tecnologici più recenti, la crescente velocità dei processori, la crescita smisurata dei corpus linguistici a cui poter attingere mediante lo strumento meccanico.
La motivazione di fondo rimane immutata rispetto a quanto ampiamente illustrato da linguisti come De Mauro e da alcune direzioni del cognitivismo in semantica: la macchina ha bisogno di ricondurre la materia linguistica a un insieme finito di regole esplicite o di occorrenze prevedibili. Tutta fatica sprecata allora? Niente affatto. Come sanno bene coloro che investono denaro e risorse nel progetto della traduzione automatica, il progetto può avere finalità definite e circoscritte assolutamente legittime e realizzabili, purché orientato verso gli ambiti che maggiormente si prestano ad una elaborazione meccanica. Pensiamo, tra i vari versanti della traduzione tecnica, ai linguaggi della localizzazione, a tutti quelli con una fraseologia ampiamente ricorrente, quali – perché no – il linguaggio dell’andamento finanziario o, a titolo puramente esemplificativo, le previsioni meteorologiche... e a tutti quei settori che per questi stessi motivi non vengono più - o non sono mai stati - affidati al traduttore.
Resisteranno fatalmente nell’ambito delle competenze del professionista umano le tipologie testuali che maggiormente si avvicinano allo spirito della traduzione letteraria, in termini di originalità, vivacità, imprevedibilità, e quindi difficoltà di trattazione automatizzata. Uno per tutti, il marketing.
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